mercoledì 21 maggio 2008

Lettera a uno scrittore con l'orologio d'oro

ho fatto un sogno oggi pomeriggio.
Stavo leggendo dei morti ammazzati di Napoli nel 200* ed evidentemente mi sono addormentata. faceva fresco in camera mia, il basilico brillava forte nel tardo pomeriggio e nel mio sogno si è fatto pianta, si è fatto pergola odorosa, si è fatto il legno chiaro delle nostre panchine. Eravamo lì, un po', non molti, un pubblico selezionato. ragazzine, un paralitico, uno scapigliato, un paio di signori interessati. Dall'altra parte del bancone, già rosso di sangue e bagnato, stava Hemingway con due angeli custodi, a destra e sinistra, due Cherubini strabici. Erano felici, Ernesto e i cherubini, chiacchieravano contenti del libro di poesie che ha scritto, da morto. Parla di carcerati, di malati, di roba. Parla come i giornalisti, ma separando con spazi ad effetto le parole. Parla di cose che non ha mai visto (essendo morto): la roba? chi la cerca più! I carcerati? descritti come cose chiuse nelle prigioni. L'ha mai visto lui un carcerato, davvero? c'ha mai parlato? io no, per questo non ne scrivo. Non parlo dei morti di aids se non so che cosa siano, se le mie fonti sono pulp fiction e al meglio un po' di almodòvar. Io sto zitta, sono sempre stata zitta sulle cose che non conoscevo, ma questo l'ho visto, lo conosco: c'era un prigioniero, nella sala a cielo aperto, entrato di soppiatto nel Tempio per rubare un po' di parole scritte (o per portarle a un amico di dentro) e nessuno, l'ha visto, nessuno c'ha parlato; s'è sentito chiamare per nome "prigioniero" ma poi ha visto che era di carta, s'è tranquillizzato e se n'è andato per la sua strada. E poi c'era uno, in un angolo, fra i libri in inglese e quelli di viaggi, proprio sotto la foto di Ernest con la moglie, con la siringa nel braccio e i segni dell'aids (che io non conosco) sulle braccia, nei vestiti, sulla faccia. Stava morendo, d'overdose o di schifo e io volevo alzarmi ma non potevo, stavano sempre parlando, l'angioletto rassicurava i baffetti che un critico non critica, asserisce, al limite corregge il tiro. E quello lì, moriva. e Loro parlavano, si davano pacche sulle spalle "che fatica pubblicare, produrre!". Ma poi fortunatamente ho mosso un sopracciglio e tutto s'è rivelato, ha cominciato a rimpicciolire e crescere, le bocche smisurate inutili, le mani vuote, bucate, l'orologio d'oro... diventava tutto più piccolo, inutile, riportato in poco tempo a ciò che è: una figurina di carta, un Ken e. tutti piccoli, sempre più piccoli... E mi sono svegliata. Accanto a me sempre il libro dei lunghi coltelli, di carta anche lui, ma vero.
Meno male che era solo un sogno.

1 commento:

Nene ha detto...

Ora che un po' mi hai spiegato ho capito....
Beh, sì quelli che parlano di tutti, gli esperti o meglio gli intensi...
Boia, che palle!