martedì 3 agosto 2010

Due sguardi sull'Italia, anzi su Roma

Da qualche tempo ormai scorro gli articoli di Italia dall'estero, un raccoglitore di articoli che interessano il nostro paese usciti su quotidiani stranieri; niente di eccitante, di solito, come sempre uno stato visto da un altro paese viene raccontato in modo semplice, semplificato.

Oggi però ho trovato due cose interessanti, per una volta due articoli che illuminano certi modi di fare del nostro paese.

Il primo è inglese, e con acume e lucidità inchioda certi modi di fare del nostro giornalismo nei confronti della Chiesa (quella con la C maiuscola). (qui l'originale)

Il secondo invece è spagnolo, un po' meno interessante, ma dice cose illuminanti sulla nostra (fra poco Mia) capitale. (qui l'originale).

Li posto, oltre che linkarli, per poter sottolineare qualche passaggio. Buona lettura :)





Il Vaticano: un’istituzione molto italiana

La reazione alle rivelazioni sulla presenza di preti omosessuali evidenzia la sudditanza della stampa italiana – e la soddisfazione del Vaticano.
Uno degli aspetti più interessanti delle rivelazioni sulla doppia vita di alcuni preti cattolici a Roma è il modo in cui la faccenda è stata gestita dai media italiani.Panorama, il settimanale che ha realizzato l’inchiesta, ha informato il resto della stampa lo scorso giovedì pomeriggio. La più importante agenzia stampa italiana, l’Ansa, ha diffuso un breve comunicato sull’esclusiva della rivista alle 5:32 del pomeriggio. Per le sette di sera era la sesta notizia più cliccata del giorno.
Eppure, nessun quotidiano nazionale ha ripreso la notizia uscita su Panorama. Soltanto il giorno dopo – quando la diocesi romana aveva già replicato, con un comunicato in cui rimproverava la rivista di aver “diffamato tutti i preti” – la stampa italiana se l’è sentita di scrivere articoli “equilibrati” sulla vicenda, aprendo in prima pagina con il consiglio della diocesi rivolto ai preti omosessuali di “venire fuori” – e andare via.
Perché tutta questa riluttanza? Alcuni sicuramente sosterranno che l’articolo, accompagnato da fotografie di preti mezzi nudi, tra i quali uno che indossava ancora il colletto da prete, è un’oscenità totale. Non sono d’accordo. E’ andato fino al cuore del paradosso, chiamiamolo così, che è alla base di molti degli attuali problemi della chiesa cattolica. Mentre si tace sul il sesso omossessuale denominandolo una deviazione e s’insiste sul celibato in un’era in cui i membri eterosessuali del clero non se la possono più cavare con l’ipocrisia di essere dei “custodi”, in quasi tutti i Paesi sviluppati il Vaticano sta gradualmente creando un clero in predominanza omosessuale. La stima più affidabile afferma che circa la metà dei preti cattolici americani siano omosessuali.
La storia ha un’altro risvolto intrigante. Panorama è di proprietà del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Non ci possiamo aspettare che lui conosca tutto il materiale in uscita su tre emittenti televisive, due quotidiani e un settimanale d’informazione influenzato dalla sua famiglia. Ma è difficile credere che lui, oppure i suoi più stretti collaboratori, non siano stati avvertiti dell’esclusiva spettacolare di Panorama. Eppure, nei tre giorni successivi alla pubblicazione, nessuno, in un Paese ossessionato con la teoria del complotto, ha pubblicamente posto domande imbarazzanti riguardo un possibile collegamento tra i proprietari di Panorama e una vicenda che ha messo il Vaticano in forte imbarazzo.
Abbiamo dunque tra le mani un esempio di qualcosa che si ripercuote ben oltre l’Italia – la deferenza con cui vengono trattati il Vaticano e la chiesa da esso amministrata da parte dei mezzi di comunicazione più vicini allo stesso Vaticano.
Non ho bisogno di raccontare ai lettori di questo spazio di Comment is free (NdT: nome della rubrica del Guardian in cui appare questo articolo) che sin dallo scorso gennaio, l’Europa è stata tempestata da un’ondata di scandali di abusi sessuali commessi da preti e vescovi cattolici. L’impressione emersa sulla stampa italiana è di uno scandalo che ha interessato solamente i Paesi di lingua tedesca e pochi altri come l’Olanda e la Norvegia. Di fatto, casi di membri del clero accusati di aver molestato o violentato bambini sono emersi ripetutamente in Italia, ma sono stati sistematicamente ignorati.
Nel 2005, un ex abate presso la città di Arezzo in Toscana confessò di aver molestato 38 bambini. Nel 2008, un prete è stato condannato da un tribunale presso Ferrara per abusi su un minore di soli tre anni. Ha ricevuto una condanna a 6 anni e 10 mesi. Al momento, un parroco della periferia romana è sotto processo e si presume ci siano sette vittime. Tutto questo ha suscitato soltanto un interesse passeggero e non ci sono state domande sulle responsabilità delle alte gerarchie ecclesiastiche. In almeno uno dei casi, si è venuto a sapere che all’accusato è stato confermato il medesimo ruolo, dopo che erano state sollevate le prime accuse contro di lui.
Faccio cenno a tutto questo non solo per fare una considerazione sui mezzi di comunicazione, ma mi riferisco anche al Vaticano e alla chiesa italiana. Spesso è stato evidenziato come le gerarchie cattoliche, dal Papa in giù, sembra si rendano conto della gravità di quel che è successo solo quando è troppo tardi. La reazione iniziale di fronte agli scandali è stata quella di denunciarli come parte di una cospirazione. Tuttavia, visto da Roma, questo non sorprende. Avvolto dall’ovatta confortevole e densa del rispetto profuso dai media italiani, il Vaticano non sente o non vede lo scandalo che è scoppiato.
La situazione è esacerbata dal fatto che il Vaticano comunica soprattutto con i giornalisti italiani. Nella scala di valori della maggior parte dei membri della burocrazia papale, la curia romana, Il Messaggero, con una tiratura di forse 200.000 copie, ma legato al territorio romano e d’orientamento tradizionalmente democristiano, conta molto di più della CNN o del Frankfurter Allgemeine Zeitung. A sua volta ciò evidenzia quanto poco internazionale sia il Vaticano, malgrado siano passati 32 anni dall’ultimo papa italiano. La curia gestisce una vasta organizzazione internazionale. Eppure, la presenza di personale italiano – e in particolare romano – con sensibilità e priorità italiane è notevolmente sproporzionata. Prima o poi, questo dovrà cambiare.

La verità dell’Italia

“Il sacco di Roma” e “Papi” analizzano la figura di Berlusconi, mentre Eric Gonzalez fa un ritratto del paese attraverso la sua capitale
Roma è la città, ma è anche una metafora dell’Italia. È un luogo peculiare che aiuta a capire il tutto, “un paese senza verità”, secondo la frase secca dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia, citata da Eric Gonzalez (Barcelona, 1959) nel suo Storie di Roma (Ed. RBA).
Gonzalez, che è stato corrispondente per El País a Roma, racconta con la stessa disinvoltura che attribuisce ai romani, la Roma che appare agli occhi di un giornalista che deve fare i conti con la ricerca sempre sorprendente di un posto in cui vivere (il suo, è un palazzo con cappella e campanile), con la burocrazia statale e quella bancaria, con la scomodità del centro urbano, con il romano che ti scambia per turista e tenta di inchiodarti e anche con una monaca, Suor Giovanna, piccola ma incorruttibile portinaia della sala stampa del Vaticano.
E quando il corrispondente si avvicina al mondo che c’è intorno e dietro Piazza San Pietro, dove si suppone si tramino intrighi raffinati, scopre che “la realtà è più prosaica di quello che si suppone”. Gonzalez termina il suo libro chiedendosi quale sia la verità e conclude che è un concetto relativo, “come la libertà o la felicità”, qualcosa senza la quale Roma “da molti secoli vive abbastanza bene”.
Neanche Silvio Berlusconi ha problemi con la verità. “Non avevo mai intervistato nessuno che raccontasse fesserie tanto ovvie con tanto entusiasmo”, assicura Alexander Stille (New York, 1957) ne Il sacco di Roma (Ed. Papel de liar), dove riconosce che la cosa eccezionale in quel personaggio è l’aver convertito “la sua capacità di trasformare la realtà in un potenziale straordinario, in una negazione di limiti e ostacoli, in una incredibile abilità di convincere i più a condividere il suo stesso delirio”.
Stille scrive la storia dell’ascesa al potere di Berlusoni da una posizione privilegiata. È un grande conoscitore dell’Italia, ma a differenza della maggior parte degli autori, critici o agiografi che hanno scritto sul personaggio, non è italiano. E questa distanza gli permette di approcciare l’oggetto di studio con poca passione, e molta serietà e obiettività.
Spiega come Berlusconi, grazie alla corruzione dei politici, in particolare di Bettino Craxi e dei socialisti, costruì il suo impero televisivo, come lo fuse con il calcio creando una sinergia imbattibile, e come tutto ciò abbia svegliato la fibra dell’antipolitica che lo convertì nel “parafulmini” di questo sentimento.
Approfittarsene
Berlusconi è stato colui che ha tratto maggior beneficio dal vecchio sistema politico italiano. “È difficile pensare a qualcuno che ne abbia approfittato di più”, scrive Stille, però ciò lo metteva anche nella situazione di vittima del ricatto degli stessi politici che tanto generosamente ungeva. Da lì il salto in politica.
Stille scrive un libro demolitore e allo stesso tempo deprimente e allarmante. Primo perché ricostruisce minuziosamente ciascuno dei passi, praticamente tutti fuori legge, dell’ascesa dell’imprenditore a politico, in quello che sembra un catalogo di reati, mancanze, abusi e comportamenti disonesti.
Deprimente, perché rivela un’Italia che chiude gli occhi davanti a tanti abusi, che non reagisce, che non si scandalizza di niente, mentre continua a esaltarne il potere.
Papi di Marco Travaglio, Peter Gomez e Marco Lillo (Ed. Duomo), è un altro libro deprimente. Completa il precedente descrivendo la patetica vita personale di Berlusconi negli ultimi tre anni, fatta di scandali con ragazze giovani. Due libri sconfortanti che però conviene leggere perché la storia della decadenza della democrazia italiana e l´insediamento del populismo che tracciano può riprodursi altrove.


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