Scarsa lingua di terra che orla il mare, chiude la schiena arida dei monti; scavata da improvvisi fiumi; morsa dal sale come anello d'ancoraggio; percossa dalla fersa; combattuta dai venti che ti recano dal largo l'alghe e le procellarie - ara di pietra sei, tra cielo e mare levata, dove brucia la canicola aromi di selvagge erbe. Liguria, l'immagine di te sempre nel cuore, mia terra, porterò, come chi parte il rozzo scapolare che gli appese lagrimando la madre. Ovunque fui nelle contrade grasse dove l'erba simula il mare; nelle dolci terre dove si sfa di tenerezza il cielo su gli attoniti occhi dei canali e van femmine molli bilanciando secchi d'oro sull'omero - dovunque, mi trapassò di gioia il tuo pensato aspetto.
Quanto ti camminai ragazzo! Ad ogni svolto che mi scopriva nuova terra, in me balzava il cuore di Caboto il dì che dal malcerto legno scorse sul mare pieno di meraviglioso nascere il Capo.
Bocconi mi buttai sui tuoi fonti, con l'anima e i ginocchi proni, a bere. Comunicai di te con la farina della spiga che ti inazzurra i colli, dimenata e stampata sulla madia, condita dall'olivo lento, fatta sapida dal basilico che cresce nella tegghia e profuma le tue case. Nei porti delle tue città cercai, nei fungai delle tue case, l'amore, nelle fessure dei tuoi vichi. Bevvi alla frasca ove sosta il carrettiere, nella cantina mucida, dal gotto massiccio, nel cristallo tolto dalla credenza, il tuo vin aspro - per mangiare di te, bere di te, mescolare alla tua vita la mia caduca. Marchio d'amore nella carne, varia come il tuo cielo ebbi da te l'anima, Liguria, che hai d'inverno cieli teneri come a primavera. Brilla tra i fili della pioggia il sole, bella che ridi e d'improvviso in lagrime ti sciogli. Da pause di tepido ingannate, s'aprono violette frettolose sulle prode che non profumeranno.
Le petraie ventose dei tuoi monti, l'ossame dei tuoi greti; il tuo mare se vi trascina il sole lo strascico che abbaglia o vi saltella una manciata fredda di zecchini le notti che si chiamano le barche; i tuoi docili clivi, tocchi d'ombra dall'oliveto pallido, canizie benedicente a questa atroce terra: - aspri o soavi, effimeri od eterni, sei tu, terra, e il tuo mare, i soli volti che s'affacciano al mio cuore deserto.
Io pagano al tuo nume sacrerei, Liguria, se campassi della rete, rosse triglie nell'alga boccheggianti; o la spalliera di limoni al sole, avessi l'orto; il testo di garofani, non altro avessi: i beni che tu doni ti offrirei. L'ultimo remo, vecchio marinaio t'appenderei.
Ché non giovano, a dir di te, parole: il grido del gabbiano nella schiuma la collera del mare sugli scogli è il solo canto che s'accorda a te.
Fossi al tuo sole zolla che germoglia il filuzzo dell'erba. Fossi pino abbrancato al tuo tufo, cui nel crine passa la mano ruvida aquilone. Grappolo mi cocessi sui tuoi sassi.Camillo Sbarbaro in Rimanenze
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