che mia madre fa bionda, azzurra e sveva,
dal nord al seguito di Federico,
o ai miei occhi nera e appassita in pugno
come oliva che è reliquia e ruga.
O in una lingua che alla pece affida
l'orma sua, l'inoltra a sera nell'estate,
in un basso alitare le decanta:
è movenza d'Aragona e Castiglia,
sillaba è cannadindia, stormire.
O in una lingua che le pone in capo
una corona, un cercine di piume,
un nido di pensieri in cima in cima.
O in quella sua lingua che la mormora
sul fiume ventilato di papiri,
su una foglia o sul palmo della mano.
O in una lingua che risale in sonno
coi primi venti precoci dell'Africa,
che nel suo cuore albeggia, in sabbia e sale,
nel verso tenebroso della quaglia.
O in una lingua che non so più dire.
Taormina, mia Mignon, da Codice Siciliano, Stefano d'Arrigo
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